Come è noto, il Tribunale di Reggio Emilia, con ordinanza depositata in data 7 novembre 2024 ha sollevato innanzi alla Corte di Giustizia Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità della normativa italiana in materia di staff leasing rispetto ai principi espressi dalla Direttiva 2008/104 in materia di lavoro in somministrazione.1
In particolare, è in discussione l’interpretazione dell’art. 5, paragrafo 5 della citata Direttiva che recita “Gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva. Essi informano la Commissione di qualsiasi misura in tal senso”. Si chiede se la normativa italiana sia in contrasto con quella europea nella parte in cui prevede – tra l’altro – la possibilità di inviare in missione a tempo indeterminato un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice, in assenza di temporaneità dell’esigenza produttiva e senza l’obbligo di indicare alcuna ragione.
È in primo luogo da precisare che il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (cd. staff leasing) è un contratto commerciale (tra agenzia fornitrice e impresa utilizzatrice) che utilizza esclusivamente dipendenti assunti a tempo indeterminato.
Peraltro, la Direttiva 2008/104 nasce come una “costola” della precedente Direttiva sul lavoro a tempo determinato, come risulta chiaramente dal 5° Considerando: “Nel preambolo dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 le parti firmatarie hanno dichiarato che intendono valutare la necessità di un accordo analogo per il lavoro tramite agenzia interinale e hanno deciso di non inserire i lavoratori tramite agenzia interinale nella direttiva sul lavoro a tempo determinato”.
Tali considerazioni rendono legittimo più di un dubbio in merito all’applicazione integrale della disciplina di detta Direttiva anche al lavoro somministrato a tempo indeterminato.2
Al riguardo, si richiama il 15° Considerando: “I contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro. Nel caso dei lavoratori legati all’agenzia interinale da un contratto a tempo indeterminato, tenendo conto della particolare tutela garantita da tale contratto, occorrerebbe prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice”.
Pertanto, fermo restando che la Direttiva prevede principi generali sul lavoro svolto tramite agenzia interinale i quali sono senz’altro applicabili anche allo staff leasing (quale istituto particolare di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato), non possono essere applicate allo stesso le specifiche norme previste per il lavoro temporaneo in somministrazione, in primis l’art. 5, paragrafo 5, sopra citato.
Bisogna considerare, come già anticipato, che il lavoratore in staff leasing ha un regolare rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’Agenzia di somministrazione e, conseguentemente, non può essere considerato un lavoratore “precario”.
Ai sensi infatti dell’art. 31, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. n. 81/2015, “possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato”.
Tale rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha un oggetto peculiare: il dipendente mette a disposizione le proprie energie lavorative anzitutto in favore dell’Agenzia per il Lavoro, la quale – a sua volta – assume l’impegno di procurargli una o più missioni (a termine o a tempo indeterminato) presso le società utilizzatrici.
Questa duttile forma contrattuale ha una grande utilità per il tessuto economico e imprenditoriale del nostro Paese, favorendo enormemente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e, allo stesso tempo, garantendo alle persone coinvolte il livello di tutele riconosciuto per legge ai lavoratori somministrati. Inoltre, l’istituto dello staff leasing si pone come valida alternativa all’utilizzo del contratto appalto in modo illecito, atteso che con la somministrazione di lavoro si è certi che un’operazione di “outsourcing” non celi intenti fraudolenti volti a speculare (dumping) sul trattamento economico dei lavoratori coinvolti nella esternalizzazione.
Vale la pena evidenziare come tali tutele siano state decisamente potenziate dall’autonomia collettiva con i vari rinnovi del Contratto Collettivo Nazionale per la Categoria delle Agenzie di Somministrazione di Lavoro. Queste misure hanno mirato da sempre a contemperare le esigenze di un mercato del lavoro che richiede sempre più flessibilità e competenze con le legittime aspirazioni dei lavoratori di vivere in maniera sicura e soddisfacente la propria carriera lavorativa, realizzando così nel concreto quel principio di flexicurity, che noi della FeLSA consideriamo uno dei principi cardine per governare – e non subire – le turbolenze indotte delle nuove e grandi trasformazioni del lavoro.
Il rafforzamento delle competenze, grazie alle molteplici misure volte a rafforzarne la portata attraverso la formazione (erogata da Formatemp), nonché la tutela dei lavoratori nelle fasi di fragilità, continuano ad essere le principali direttrici lungo le quali la contrattazione collettiva si è sviluppata.
Al lavoratore somministrato a tempo indeterminato, a differenza dell’omologo a tempo determinato, si applica un istituto peculiare: l’indennità di disponibilità. L’art. 33 del D.Lgs. 81 del 2015 prevede infatti che: “In caso di assunzione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel contratto di lavoro è determinata l’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore (…)”.
L’istituto è stato decisamente perfezionato dall’autonomia collettiva che, nell’ultimo contratto collettivo nazionale ha previsto, per la fase di disponibilità, una indennità pari a 1.000 euro mensili.
Inoltre, sempre il contratto collettivo ha previsto come, una volta terminata la missione, il lavoratore o la lavoratrice possano essere posti in una specifica procedura, detta di ricollocazione, durante la quale, a seguito di un bilancio di competenze e a valle di un confronto sindacale, vengono coinvolti in un percorso di riqualificazione finalizzato alla ricollocazione.
La durata di detta procedura è di almeno 6 mesi e, a seconda della condizione soggettiva del lavoratore o della lavoratrice coinvolti, può essere prolungata fino a 210 giorni, se il lavoratore o lavoratrice si trovano in condizioni di disabilità o nel caso di plurime fuoriuscite dallo stesso utilizzatore, o a 240 giorni in caso di infortunio. In tutti questi casi viene erogata al/alla lavoratore/lavoratrice una indennità di euro 1.150 mensili.
Vi è poi una tutela decisamente rafforzata per le donne che terminano la missione durante il periodo di gravidanza: la durata della procedura si protrae fino a 1 anno di vita del bambino. Per tutto questo periodo la lavoratrice percepisce la stessa retribuzione spettante al momento della cessazione della missione.
Come si può agevolmente comprendere, il sistema di tutele che è stato costruito intorno alla somministrazione a tempo indeterminato costituisce uno degli elementi di pregio del settore e di qualità del contratto collettivo nazionale: uno dei sistemi più all’avanguardia nell’attuale assetto del mercato del lavoro, anche in ottica europea.
Si tratta, infatti, di un assetto che prevede una equilibrata combinazione di politiche attive e passive, circostanza purtroppo assai rara nel sistema economico del nostro Paese.
Quanto presentato deve essere completato dalla riproposizione di alcune considerazioni generali sullo strumento della somministrazione di lavoro.
Anzitutto, è necessario ricordare il principio di parità di trattamento, sia economico che normativo (ivi compresi i trattamenti previsti dalla contrattazione di secondo livello), tra i lavoratori somministrati e i dipendenti c.d. diretti della società utilizzatrice (Art. 35, comma 1, D.Lgs. 81/2015,). Tale principio normativo, rafforzato nel Contratto Collettivo Nazionale, costituisce , come detto sopra, una degli elementi decisivi per valutare la bontà dell’istituto della somministrazione a fronte di altri istituti di “esternalizzazione”, come ad esempio l’appalto.
Sempre come aspetto rilevante, preme evidenziare come i somministrati a tempo indeterminato, al pari di tutti gli altri somministrati, possono giovarsi, tramite gli Enti bilaterali del settore (Ebitemp e Formatemp), di un welfare contrattuale particolarmente ricco, che costituisce un altro dei vari tasselli volti a far considerare il lavoro somministrato come un lavoro di qualità, soprattutto se raffrontato con altre forme contrattuali flessibili.
Quello che pertanto emerge dall’analisi delle disposizioni di legge e della contrattazione collettiva, è come il combinato disposto dalle due diverse fonti di regolazione realizzi un coerente sistema di tutele che è necessario considerare nella sua integralità.
Occorre, peraltro sottolineare come, se si esamina nel dettaglio la regolazione di questa forma contrattuale, il nostro Paese emerge positivamente rispetto alla gran parte degli stati membri dell’Unione Europea quanto a tutele e diritti riconosciuti ai lavoratori somministrati.
Da sempre, infatti, il nostro sistema si distingue per l’applicazione particolarmente netta ed estensiva del principio di parità di trattamento, per gli stringenti requisiti richiesti alle agenzie per ottenere l’autorizzazione ad operare, per un sistema di bilateralità e previdenza complementare caratterizzato da condizioni di accesso e benefici in termini di welfare addirittura migliorativi rispetto a molti settori più tradizionali.
L’elemento della stabilità del rapporto con una Agenzia per il Lavoro, che trova nel contratto di somministrazione a tempo indeterminato la sua massima espressione sotto il profilo della responsabilizzazione della agenzia soprattutto nelle fasi di non lavoro, qualifica questa tipologia di somministrazione come strumento, seppur perfezionabile, già allo stato in grado di assolvere a quella funzione di “flexisecurity” già richiamata.
La sua eliminazione tout court, o decisioni che ne depotenzino in maniera decisiva l’utilizzo, rischiano di far virare le imprese nella direzione di forme contrattuali decisamente meno tutelanti, o addirittura di lasciare senza impiego un numero elevato di lavoratori, stante che coloro che oggi sono impiegati con questa forma sono circa 100.000 persone, ottenendo una paradossale eterogenesi dei fini rispetto all’intento di voler salvaguardare i diritti dei lavoratori.
In conclusione, oggi, in Italia, un lavoratore in staff leasing (che è un dipendente a tempo indeterminato dell’agenzia per il lavoro), grazie alla legge e alla contrattazione collettiva, possiede maggiori tutele rispetto ad un lavoratore somministrato a termine.
Per tutto quanto sopra evidenziato, il lavoro nell’ambito di uno staff leasing non è equiparabile alla fattispecie dell’abuso nella successione di contratti a termine in somministrazione.
Nel 2023, chi ha cessato un contratto di lavoro in staff leasing, ha poi ricevuto una offerta di lavoro a tempo indeterminato direttamente dall’utilizzatrice nel 65,9% dei casi (dati forniti nel 2024 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed elaborati dall’Università di Roma Tre). Pertanto, già oggi, la probabilità di trovare una occupazione “standard” è assai elevata per i lavoratori in staff leasing. A ben vedere, in un momento, come questo, di crisi di offerta di lavoro, una considerazione sorge spontanea: perché un’azienda dovrebbe spendere di più per potere disporre di un lavoratore somministrato quando, una volta verificato il suo valore, lo può assumere direttamente? Ebbene, senza l’istituto della somministrazione, anche a tempo indeterminato (cd. staff leasing), questo virtuoso matching non si realizzerebbe!
Fermo quanto precede, la Felsa CISL ritiene che l’istituto dello staff leasing debba essere mantenuto, seppur la tutela dei lavoratori in staff leasing possa essere ulteriormente migliorata attraverso un intervento legislativo che sostenga e promuova la contrattazione collettiva.
Riteniamo infatti necessario, in assenza di una data di termine delle missioni in somministrazione, prevedere per legge l’obbligo a carico dell’impresa utilizzatrice di indicare un periodo di preavviso all’agenzia fornitrice e al lavoratore interessato. La definizione di tale periodo dovrebbe essere regolamentata e disciplinata dalla contrattazione collettiva.
Inoltre, riteniamo necessario prevedere legislativamente l’introduzione di un diritto di precedenza per le assunzioni da parte dell’impresa utilizzatrice (esteso anche alle attivazioni di nuovi contratti di somministrazione) in favore dei lavoratori in staff leasing. A tal proposito, ci impegneremo a elaborare un meccanismo contrattuale finalizzato a evitare fenomeni di turn over anche in somministrazione, ovvero sostituzione di lavoratori con altri per lo svolgimento delle medesime mansioni. Il legislatore, nel caso dell’utilizzo dello staff leasing, dovrebbe quindi rinviare alla contrattazione collettiva aziendale per verificare periodicamente, anche attraverso l’istituzione di sedi bilaterali, il perdurare nel tempo delle esigenze di flessibilità, al fine di garantire percorsi di stabilizzazione graduali e armonici, soprattutto finalizzati a non pregiudicare la tenuta occupazionale.3
Infine, riteniamo necessario proseguire sul percorso di rafforzamento, in particolare proprio per i lavoratori in staff leasing, della procedura di ricollocazione disciplinata dall’articolo 25 del CCNL della Somministrazione. Sempre di più il raccordo tra politiche attive e passive deve rispondere puntualmente e adattarsi alle condizioni specifiche di storia lavorativa della persona: incremento della qualità della formazione e rafforzamento della tutela economica anche attraverso gestioni contrattuali sartoriali, su misura delle specifiche condizioni dei lavoratori interessati.
In conclusione, come FeLSA CISL siamo fermamente convinti che una soppressione tout court dell’istituto comporterebbe il rischio di perdere uno strumento originale, tutelato e particolarmente utile per il mercato del lavoro italiano.
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1Analoga questione pregiudiziale è stata poi sollevata con l’ordinanza del Tribunale di Milano del 14 gennaio 2025.
2 Lo stesso dubbio emerge dalla lettura dell’art. 1 della Direttiva 2008/104: “La presente direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse”. Il lavoratore in staff leasing, invece, non lavora temporaneamente né per la società utilizzatrice né per l’Agenzia interinale.
3 Non riteniamo, invece, che una soluzione possa essere quella di estendere il requisito della temporaneità a qualsiasi contratto di somministrazione, proprio in considerazione del fatto che il lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’Agenzia interinale non può e non deve essere considerato un lavoratore precario.
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